Nativi digitali vs Immigrati Digitali: quale futuro per il lusso?

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In una disputa che rischia di cadere nei toni banali delle cronache sull’immigrazione che riempiono i rotocalchi, tratteremo il tema dell’immigrazione ma quella di natura digitale e delle sue ripercussioni sul business soprattutto del lusso. Gli “immigrati digitali“, secondo la definizione coniata nel 2001 da Mark Presky, sono coloro nati prima dell’era digitale: non importa quanti gadgets avranno a disposizione, essi non saranno mai a loro agio con il “pensiero/mindset digitale” e le dinamiche di interazione e fruizione dettate dalla tecnologia.

Nativi Digital vs Immigrati Digitali

Alcuni dati demografici sugli Stati Uniti parlano chiaramente dell’importanza del fenomeno: la quota più numerosa della  popolazione con 92 milioni di abitanti e’ quella dei Millenials, i priminativi digitali“. Le caratteristiche di questo gruppo sono con meno stabilita economica delle precedenti generazioni, diverse priorità rispetto ai predecessori (“la fruizione” diventa punto cardine dell’esperienza al posto del “possesso”) e un senso di appartenza ad una comunità virtuale su cui, all’occorrenza, poter contare per ridurre l’asimmetria di informazioni a discapito dei brands. Come ha dichiarato Ming Kwan di Lazada, gigante e-commerce del Sudest Asiatico recentemente acquistato da Alibaba per 1mld di USD: “In un mondo digitale la conversazione e’ diventata più aperta e l’ago della bilancia propende verso il consumatore”

L’immigrazione digitale di Papa Francesco twitter

Per la Generazione X (nati tra 1964 e 1981) e la Generazione Baby Boomers (nati tra 1945 e 1964), l’alto valore aggiunto del prodotto di lusso -non importa se appartenete alla categoria merceologica dell’abbigliamento, degli accessori o dell’automotive – era convogliato in maniera tradizionale top-down: dall’alto al basso i brands erano indiscussi gatekeepers di un mondo di sogni e valori comunicati in maniera controllata. Le  tecniche di marketing e comunicazione usate fino a oggi pero’ non sono più adatte ai giovani under 35: al posto di pubblicità e messaggi controllati, essi preferiscono affidarsi a opinion leaders, spesso coetanei, che seguono quotidianamente grazie ai social networks -le nuova cartine tornasole della brand experience – e con cui riescono a stabilire una relazione basata sull’empatia e condivisione sul piano experience.

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Il consumatore nativo digitale si sente più vicino ad una blogger o a una celebrity con cui si riconosce nelle attività quotidiane, come postare immagini e scattare un selfie, e può instaurare un dialogo vero e diretto grazie alle nuove tecnologie. Stiamo assistendo a una lacerazione del “velo di Maya” fatto di marketing che celava la realta del mondo del lusso e dava ai brands un potere quasi teologico sullo storytelling: oggi il consumatore nativo digitale pretende di essere protagonista  nel dialogo con il brand. Personalizzazione del prodotto, servizio, utilità e componente emozionale sono la chiave del risultato con i Millenials, che non possono permettersi di pagare un premium per ciò che definiscono futile o ingiustificato. Oggi il lavoro è molto diverso per i brands del lusso perché si devono ripensare logiche marketing consolidate negli anni e  decision makers, top management e coloro che dovrebbero traghettare le aziende verso il futuro sono “immigrati digitali”.

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