See Now Buy Now – Instant fashion, una rivoluzione iniziata dal fast fashion

Gigi X Tommy
Gigi X Tommy Hilfiger

Sulle colonne di WWD della scorsa settimana analisti, retailers, stilisti ed esponenti delle Camera della Moda si sono interrogati sugli effetti della rivoluzione “Instant Fashion” o “See-now-buy-now” sperimentata durante le settimane della moda PE17. Tralasciando i temi di creatività e al ciclo di produzione industriale (con relative ripercussioni finanziario-economiche), quello a cui stiamo assistendo é un fenomeno culturale innescato da qualche decennio a questa parte. Gli ultimi trend sono risposte operative e pratica a meccanismi culturali innescati da tempo.

Burberry Fw16 See now buy now
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Il consumatore moderno é cambiato -o meglio é stato cambiato- in alcune abitudini radicate e sostanzialmente immutate dal dopo guerra a metà anni Novanta: il pret-a-porter, con la logica per cui un capo di abbigliamento ha una certa durabilità in termini di stile (tema antesignano del concetto Retail carryover/permanente), e l’equilibrio nella banale equazione valore moda-brand-prezzo si sono stravolti. Se fino a metà anni Novanta era impossibile pensare di comprare abbigliamento alla moda con modalità di consumo usa e getta, capi concepiti per durare non più di una stagione, da quando H&M e Zara hanno introdotto su piazze globali e nelle abitudini del consumatore il concetto Fast fashion, è cambiata la scala di valori dell’abbigliamento. Una delle prime conseguenze? I brands di moda e abbigliamento di lusso non sono più stati in grado di capitalizzare fino in fondo il valore della loro creatività perché le creazioni venivano portate sul mercato in copie o declinazioni similari a tempi record (a volte anche prima dell’originale). In stores posizionati nei centri nevralgici del commercio lusso tradizionale, i retailers fast fashion riescono a invitare il consumatore a fare diverse visite nello stesso mese  proponendo nuovi concepts merchandising, nuovi prodotti (tecnica multiple drops prodotto rapida e adattiva all’interno della stessa stagione) e stimolando un senso di urgenza verso l’acquisto perché il prodotto disponibile non è detto che venga riassortito.

https://youtu.be/B1pGXKoTJus

Tornando ai brands tradizionali di abbigliamento, che investono in negozi flagship prestigiosi e fashion shows proposti a cadenza stagionale per celebrare prodotti che verranno proposti sugli scaffali dopo sei mesi, la competizione è molto difficile. Alcune conseguenze dell’attuale ciclo dell’industry sono collezioni bloccate sugli scaffali per diversi mesi, difficoltà a mantenere prezzi di vendita suggeriti e marginalità piene per periodi lunghi (progressivo ricorso a scontistica aggressiva che anticipa sempre più le date dei saldi ) e il calo del traffico nei punti vendita. Il consumatore è cambiato e forse l’instant fashion per quelli che possono (e vogliono) adottarlo può costituire in parte una risposta concreta a una serie di problemi che minano le fondamenta delle sostenibilità del business.

I costi del “see now buy now” sono proibitivi per la maggior parte dei brands perché comportano uno sforzo immane lato progettazione delle collezioni e produzione: una rivoluzione “copernicana”. Per fare la “rivoluzione”, i tradizionali gatekeepers della moda e dello stile dovrebbero (metaforicamente) scendere dal loro piedistallo dorato e fare un passo per avvicinarsi al consumatore e ricreare quel senso di stupore e trepidante attesa che l’era dei social e dell’immediatezza in chiave smartphone hanno creato.

Alternativa realistica? La rivoluzione è già cominciata e tra qualche anno tireremo bilanci oggettivi sui risultati operativi.

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