E’ noto che una delle ragioni che alimentano e fanno prosperare il business dello shopping parallelo abbigliamento lusso in Cina è il peso fiscale abnorme causato dall’imposizione da parte del Governo centrale di dazi e tariffe all’import. La pressione fiscale molto alta sui beni di importazione, e’ uno dei fattori che contribuisce maggiormente a spingere i prezzi su livelli decisamente più alti rispetto a quelli correnti su altri mercati oltre alle politiche di price discrimination esercitato dalle case. Il risultato di questa politica fiscale non può essere che la corsa dei cinesi ad effettuare i loro acquisti all’estero. Il fenomeno ha quindi assunto proporzioni enormi e si sviluppa nelle più varie forme possibili: spaziando dal contrabbando vero e proprio al mercato parallelo online, al travel retail dei turisti Cinesi in giro per il mondo, pare che nel 2014 abbia generato un volume di affari che ha raggiunto l’incredibile cifra di 428 Miliardi di US$.
Si è generato un business talmente talmente grande, da essere diventato per molti marchi di importazione decisamente più importante delle vendite realizzate tramite la rete commerciale ufficiale che hanno in Cina. Quello che interessa al governo è cercare di beneficiare di questo flusso di consumi privati che in realtà già esistono, ma per colpa principalmente della distorsione fiscale e normativa non rimangono in patria e sono diretti all’estero, determinando così un effetto paradossale sui consumi interni che non crescono come dovrebbero e potrebbero. In pratica avviene che spesso i brand occidentali investono nella rete di vendita in Cina per aumentare la visibilità del marchio e la desiderabilità dei loro prodotti, i fatturati veri sono comunque realizzati dalla clientela Cinese, la quale però compra i beni che ha visto in patria negli store all’estero.
Dai dati risultanti dai rimborsi richiesti tramite Tax Free Service, il fenomeno appare in tutta la sua evidenza, una quote che va dal 30 al 40% delle vendite dei negozi di lusso situati nelle capitali europee sono realizzate con la clientela cinese. Il fenomeno mese scorso si è addirittura scomodato il Presidente Li Jinping che ha esortato i suoi concittadini a spendere e consumare in patria e non all’estero, a questo proposito è importante notare che l’obbiettivo delle autorità non è quello dello spingere il “buy chinese products” ma l’enfasi è sul “buy in China“, spingere i consumi interni.
Le azioni messe in atto sono molteplici e agiscono su diversi aspetti. Si è così iniziato restringendo le maglie alla concessione dei visti turistici per Hong Kong, viaggi che hanno di solito come obiettivo principale lo shopping a prezzi più convenienti che in patria. Si è poi cercato di arginare il colossale flusso di contrabbando fra la ex colonia e la contigua regione di Shenzhen, limitando il cabotaggio dei residenti con visto da frontalieri a due soli passaggi giornalieri del confine. Azioni che sono sicuramente importanti dal punto di vista dissuasivo ma certamente non risolutive.
L’ultima mossa, è invece molto più incisiva ed è stata annunciata in questi giorni dal Governo centrale, sulla spinta questa volta di una esigenza molto più importante: riequilibrare le variabili di politica macroeconomica a livello nazionale, in Cina tradizionalmente sbilanciate sull’export e sugli investimenti, cercando di accrescere i consumi interni della popolazione. Per perseguire l’obiettivo si è scelto di intervenire alla radice, colpendo anche il fenomeno degli acquisti all’estero e cercando di scoraggiarlo, dal prossimo luglio entrerà in vigore una riduzione dei dazi sugli articoli di lusso importati, cercando così di determinare un almeno parziale riallineamento dei prezzi presenti sul mercato interno con quelli esteri. Certamente una più favorevole politica fiscale va nella giusta direzione, anche se il turismo dei Cinesi all’estero è comunque favorito dal Governo di Pechino e come tale in decisa espansione.
Intanto bisogna segnalare che, indipendentemente dalla fiscalità, Chanel e Patek Philippe per primi hanno annunciato un riallineamento in basso dei loro prezzi in Cina (vedi articolo Chanel), così come lo stesso hanno fatto case automobilistiche come GM. La situazione dei prezzi del lusso e dei beni di importazione in genere, è in ogni caso destinata a subire mutamenti notevoli. Un dato pare però acquisito, il consumatore Cinese nel futuro prossimo sarà sempre meno disponibile a sopportare in patria differenze di prezzo esorbitanti e le aziende occidentali che esportano prodotti di lusso con markup eccessivamente gonfiati sul mercato cinese avranno pochi modi di bloccare il “progresso” dell’economia interna cinese se spinto dal Politburo cinese.