Con l’annuncio dell’uscita, meglio dire licenziamento, del Ceo Patrizio di Marco, ma soprattutto della responsabile creativa Frida Giannini, coppia sia nel lavoro che nella vita privata, Gucci inizia un percorso di profondo rinnovamento.
Si tratta del cambiamento più importante avvenuto nel management aziendale dal 2004, epoca dell’uscita del duo Tom Ford/Domenico De Sole, artefici del rinascimento della griffe fiorentina dopo anni di oblio e conti in rosso. Dopo il rilancio avvenuto con l’allora determinante concorso di un fondo di investimento arabo, con la proprietà Pinault/Kering il brand Gucci ha indubbiamente vissuto un periodo di grande espansione, diventando uno dei più potenti e globali del lusso internazionale. La strategia di espansione della rete commerciale tramite l’apertura a getto continuo di nuovi negozi, l’estensione della presenza nel canale wholesale, così come la diversificazione spinta sulla profumeria, hanno fatto si che i fatturati per molti anni fossero in crescita costante, così come cresceva la redditività’ del marchio, diventato nel frattempo il più importante business di Kering. Questa strategia, che si può definire contraddistinta da un dichiarato obiettivo di espansione quantitativa, è stata seguita anche da altri brand come ad esempio Burberry ,Prada e Lvmh, generando, soprattutto fino a quando i mercati russo ed asiatico erano in espansione, risultati molto importanti.
Il rallentamento economico in corso ormai ovunque, sia nei mercati più maturi come l’Europa, ma soprattutto in quelli dei nuovi ricchi come Russia Asia e Brasile, con la sola importante eccezione degli Usa che dallo scorso anno sono tornati a fare da traino, impone un aggiustamento e anzi spesso un ripensamento delle strategie gestionali. La necessità di questo cambio di strategia, imposto come detto dall’esigenza di adeguarsi alla nuova realtà di mercato, è sicuramente alla base della rivoluzione manageriale annunciata per Gucci, peraltro preceduta nei mesi scorsi da avvicendamenti altrettanto importanti in altri brand del gruppo Kering come Bottega Veneta, Brioni e Christopher Kane, aziende dove sono stati recentemente sostituti i Ceo.
Si potrebbe dire che nel caso di Gucci , la griffe sotto la guida del duo Di Marco/Giannini è stata alla fine vittima del suo stesso successo, la prevalenza della ricerca del fatturato tramite l’aumento della visibilità del marchio, ha determinato da parte della clientela più sofisticata, quella che cerca il vero lusso, una perdita della percezione di esclusività del brand. Un analogo fenomeno ha interessato negli ultimi anni quasi tutti i brand più importanti, i quali in conseguenza della forzata espansione commerciale attuata nel recente passato, spesso hanno sofferto di una sovraesposizione. A tale proposito, è in particolar modo sul mercato asiatico che si possono constatare maggiormente gli effetti deleteri dell’eccesso di presenza di un marchio, qui la rincorsa all’apertura di nuovi prestigiosi mall, ha innescato a sua volta la necessità da parte dei marchi piu’ importanti di presidiare il territorio creando quindi un effetto bandwagon, in pratica se i concorrenti erano presenti in una location bisognava esserci per forza.
Le aziende si sono accorte del problema evidenziatosi in varie forme: la diminuzione dell’affluenza di pubblico nei negozi, la stagnazione dei fatturati, l’aumento della presenza di merce in saldo nel wholesale, tutti hanno quindi provato a mettere in campo azioni correttive volte a cercare di recuperare la perduta esclusività. I brand hanno adottato strategie differenziate, cercando di reagire in funzione delle proprie caratteristiche di marca e soprattutto con risultati contrastanti. Qualcuno ha limitato la presenza nel wholesale, riducendo la distribuzione nei punti vendita indipendenti e potenziando quelli a gestione diretta, addirittura altri hanno eliminato del tutto il wholesale. Qualche altra azienda ha cancellato dal proprio portafoglio di prodotti quelli più economici, spesso accompagnando questa mossa con l’innalzamento del prezzo dei prodotti rimanenti. Altri ancora hanno inserito nella gamma specifiche linee super premium di solito contraddistinte da un notevole sforzo di creatività, proposte sia come serie limitate di particolare prestigio di prodotti tradizionali, così come nuove linee di prodotto upscale. L’obiettivo di solito viene raggiunto con una combinazione delle varie azioni, un mix che però richiede nell’applicazione una notevole attenzione e la necessaria gradualità, cioè alcune stagioni per potere essere pienamente operativo.
E’ opinione di molti commentatori, che questi elementi siano mancati nella strategia Gucci degli ultimi anni, da un lato si imputa che sia stata proprio la gradualità nel proporre il necessario aumento di prezzo a mancare, aumenti ritenuti troppo accellerati per sortire i risultati corretti, così come d’altro canto la revisione del portafoglio prodotti in direzione upscale ha mancato di originalità e di novità , in altre parole si è affidata troppo all’archivio storico Gucci mancando di quella carica di creatività che altri marchi hanno saputo trovare.
A tale proposito l’esempio di Hermès è quello che pare più interessante, sia per i risultati in termini di valorizzazione della società sul mercato con un P/E sulle azioni di 24, che in termini di redditività ,da sempre su livelli stratosferici anche in periodi di magra come l’attuale. Evidentemente per l’azienda francese il concetto di esclusività è stato da sempre un paradigma seguito senza tentennamenti. La coerenza mantenuta nel tempo sia in termini di prodotto che di prezzo, unita ad una distribuzione diventata progressivamente più capillare ma senza eccedere nella presenza sul territorio, l’assenza dal canale wholesale con il conseguente assoluto controllo sui prezzi e sui flussi commerciali, così come la presenza sul web esclusivamente tramite il sito aziendale di e-commerce, sono tutti fattori che hanno contribuito al mantenimento delle caratteristiche di esclusività ed eccellenza del marchio. Intelligentemente l’azienda francese ha riservato da sempre anche una notevole attenzione alla cosiddetta clientela aspirazionale, pubblico che Hermes serve efficacemente grazie al fiorente business generato dalle collezioni di foulard e cravatte oltre che con la profumeria. Si tratta di una politica di diversificazione particolare perché’ centrata su due prodotti specifici , accessori moda che sono da sempre molto identificati con il brand Hermes , proposti a prezzi tutt’altro che popolari ma che hanno comunque una accessibilità per una ampia platea di pubblico, mentre i prodotti di abbigliamento o di pelletteria mantengono immutati prezzo ed esclusività.