Il commercio parallelo di prodotti di lusso -abbigliamento, accessori, cosmetica e orologeria – può essere una delle grandi vittime e deve affrontare complessità aggiuntive da gestire, all’interno del dramma che sta affrontando il retail in conseguenza dell’emergenza Coronavirus.
Il cosiddetto mercato parallelo o “grey market”, sfrutta in maniera legale alcune anomalie di mercato (vedi report parallelo multimarca Italiani), si tratta dei differenziali di prezzo o di disponibilità su alcuni mercati di pezzi rari, condizioni che vengono gestite in maniera opportunistica. Rivenditori wholesale, dealers autorizzati e concessionari ufficiali operano come intermediari più o meno occulti di commercianti stranieri, per facilitare l’esportazione al fine di rivendita su mercati esteri.
Non stiamo parlando del commercio al dettaglio tradizionale, al momento bloccato per il lockdown sanitario attivo in gran parte dei paesi del mondo, la cui graduale riapertura in Italia è disciplinata a partire dal 18 Maggio 2020 (vedi ilMessaggero). Non parliamo neanche del modello di business travel retail, la vendita di beni a turisti in vacanza che approfittano di tassi di cambio, tax free, prezzi di vendita al pubblico più bassi nel paese di origine del marchio, differente offerta prodotto o, semplicemente, scelgono l’esperienza di acquisto “esotica” durante le vacanze.
In Italia, il fenomeno del parallelo o “grey market” contraddistingue non solo piazze di vendita storiche per traffico turistico -Venezia, Verona, Milano, Roma, Firenze – dove sarebbe più facile nascondere i flussi e volumi di merce all’interno di grandi volumi di vendite normali, ma anche e soprattutto la provincia Italiana. Si può dire che il business del parallelo ormai da anni sta salvando i conti di tanti multimarca e department stores Italiani.
Per la conformazione ed evoluzione storica del settore del retail di lusso in Italia, sono presenti tante piccole realtà commerciali nella provincia, molte di esse si sono gettate nel mercato delle vendite lucrative e ad alto rischio del parallelo. Al di là della tradizionale attività di commercio al dettaglio, spesso coltivata da decenni, gli operatori -tante PMI -rapidamente si sono fatti ingolosire dalla prospettive di guadagni facili con il parallelo, ipotecando e legando a doppio filo il loro futuro alla crescita esogena di mercati finali stranieri, Cina in primis (vedi articolo Business parallelo in Cina).
Le categorie merceologiche coinvolte nel business del parallelo sono molteplici: dalla profumeria/cosmetica all’hard luxury (gioielleria e orologeria) passando ovviamente per pelletteria e abbigliamento moda. Nessun marchio del lusso, Italiano o straniero, con una componente di distribuzione intermediata tramite wholesale o dealers concessionari può considerarsi escluso dal parallelo o “grey market” che dir si voglia.
Per molti retailers multimarca Italiani del lusso è innegabile che la componente del business online sia cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni (vedi articolo Farfetch e multimarca Italiani), crescita però non sufficiente in questo momento per compensare il blocco del business parallelo e le vendite offline ferme.
I costi delle vendite online però sono alti se si vuole utilizzare il network Farfetch, per via delle commissioni sulla singola vendita nel range dal 20 al 25% sul prezzo di vendita. Alternativamente, se si vuole creare un sito e-commerce diretto i costi di marketing digitale per ottenere visibilità e rivaleggiare con i giganti internazionali (come Yoox, Net-a-Porter, Farfetch, Chrono24 e similari) sono ancora maggiori rispetto ad utilizzare un marketplace.
La “macchina del parallelo” si è inceppata o pesantemente rallentata con l’emergenza COVID-19 sia sul fronte della domanda finale– con la richiesta del consumatore finale in Asia quasi azzerata- sia dal lato degli intermediari, per via del blocco delle esportazioni conseguente al rallentamento delle domanda dei consumatori finali. Non bastano le vendite con live streaming e-commerce (vedi articolo livestreaming e-commerce) o le vendite online, per coprire l’esposizione finanziaria di tanti retailers multimarca Italiani. Si tratta di impegni con i fornitori per centinaia di migliaia di euro, se non milioni, per merce acquistata per conto di buyers esteri che avrebbero dovuto ritirare e farsi carico di esportare il prodotto su mercati finali come Cina, Russia o Corea del Sud.
Vedremo se post Coronavirus la Cina manterrà le sue promesse di acquisto con il “revenge buying” preannunciato (e tanto atteso) o viceversa quale sarà l’impatto della merce invenduta che verrà riversata sul mercato con sconti e saldi alla riapertura del commercio al dettaglio. Per il parallelo l’incubo invenduto è dietro l’angolo e, di conseguenza, le maison e aziende che hanno permesso il proliferare del fenomeno dovranno gestire una potenziale bomba a orologeria oltre che sui potenziali insoluti anche sulla brand equity.