VF compra Supreme: vediamo di capire meglio vantaggi e rischi dell’acquisizione pluri-miliardaria che pone importanti sfide distributive al colosso fashion Americano. Si potrebbe trattare apparentemente di paradosso la recente acquisizione del brand streetwear da parte del colosso di Denver se guardata da alcuni punti vista come, ad esempio, la strategia distributiva e il posizionamento.
VF Corp. è la conglomerata che possiede e gestisce una pletora di brands del calibro di Eastpack, Vans, Timberland, The North Face, Nautica, Napapijri insieme ad altri brands sportswear e fashion. Alcuni di questi marchi, popolari in tutto il mondo, hanno contribuito anche attivamente al successo del brand Supreme. Grazie ad azzeccate collaborazioni produttive e partnership di co-branding, come ad esempio quella con Vans nelle calzature (prima collaborazione nel 1996) o The North Face su streetwear, la brand awareness e la diffusione del brand Newyorkese è cresciuta a dismisura imponendosi a livello mondiale.
Nonostante la predisposizione a partnership con produttori e brands mass market, la fortuna di Supreme, nato a New York come un semplice negozio di skateboard, è legata a doppio filo ad una strategia commerciale e di immagine che si basa fondamentalmente sull’esclusività del brand e la rarefazione commerciale del prodotto. Questa ben precisa strategia di posizionamento, focalizzata da un lato sulla presenza nel top di gamma e dall’altro sulla distribuzione selettiva, ha permesso, anzi meglio dire favorito, l’abbinamento di Supreme a griffe del calibro di Louis Vuitton altrimenti improponibile (vedi articolo Dior x Nike vs Louis Vuitton x Supreme).
Dalle dichiarazioni successive all’annuncio dell’acquisizione da 2,1 miliardi di US$, il management di VF ha posto come obiettivo la valorizzazione del brand acquisito attraverso l’incremento della sua diffusione ed un obiettivo di crescita del turnover del +8/10% annuo. L’attuale distribuzione commerciale dei prodotti a marchio Supreme avviene per il 60% tramite l’e-commerce diretto DTC dell’azienda e il restante 40% tramite i 12 punti vendita retail diretti del brand. La localizzazione dei punti vendita è principalmente negli USA ed in Giappone, con una presenza marginale su altri mercati come testimonia il negozio di Parigi.
La contaminazione di stili e culture, sempre più presente nel modo di vestire corrente è una caratteristica peculiare del lifestyle e del modello fashion streetwear. Negli ultimi anni questa dinamica di cultura e consumo ha indubbiamente contributo alla legittimazione di un brand come Supreme, sdoganandolo e rendendolo estremamente interessante anche agli occhi di un pubblico come quello del lusso. Forse in passato, una operazione commerciale e di brand creation come quella di Supreme non sarebbe potuta avvenire con questa portata e successo, complice anche la mancanza della clientela dei Millenials.
Come abbiamo già osservato, il modello distributivo Supreme in maniera marcata direct to consumer DTC garantisce l’esclusività e di conseguenza la grande marginalità sul prodotto che il brand realizza, alimentando il “mito Supreme”. D’altro canto però, una distribuzione così limitata dal punto di vista geografico, lascia scoperta una grossa fascia di clienti con alta capacità di spesa che vorrebbero il prodotto ma non lo trovano per la mancanza di presenza sul territorio.
Colmare il gap di presenza del prodotto sul mercato sarà molto probabilmente la direzione che VF vorrà imprimere allo sviluppo di Supreme. Continuare l’espansione commerciale online ma al contempo aumentare lo sforzo nei canali tradizionali offline, aumentando la presenza dei negozi di proprietà sulle piazze internazionali più interessanti e prestigiose. Del resto non sarebbe una novità: un modello distributivo che abbina esclusività percepita con una presenza commerciale più diffusa, ha avuto grande successo con Hermes. Un brand di super lusso e dalla redditività stellare, presente con una distribuzione diretta molto selettiva ma al contempo capillare, che può vendere i propri prodotti a prezzi molto alti alimentando un mercato di rivendita (vedi articolo trading Hermes Birkin e Kelly).
Molto probabilmente, grazie al supporto finanziario industriale e di cobranding messo a disposizione da VF, Supreme si candiderà a diventare l’equivalente nello streetwear di Hermes nella pelletteria e nell’abbigliamento. Vedremo cosa succederà, quello che è certo però è che mercati come la Cina, al momento invasi da fake di Supreme, aspettano a braccia aperte una presenza commerciale adeguata alla popolarità del brand.
Naturalmente una acquisizione come questa, dove le parti in gioco hanno caratteristiche molto differenti, quasi antitetiche, nasconde anche dei rischi. Integrare un brand esclusivo e molto popolare come è Supreme ad una serie di altri marchi anch’essi molto popolari ma con diffusione di massa, potrebbe diluire ed in breve tempo svilirne l’esclusività, vera e propria essenza del brand acquisito.