Dopo la messa al bando ufficiale da parte del Partito Comunista degli sfarzi e dei fasti, il calo registrato nelle vendite di prodotti di lusso in Cina sembrava sintomo di una forzata disaffezione dei consumatori cinesi verso i prodotti occidentali. Condanna degli status symbol, azione di facciata, lotta alla corruzione dilagante nel paese? Ad ascoltare le statistiche dei retailers, dei produttori di auto e dei principali attori coinvolti nella vendita di prodotti di lusso, i consumatori cinesi sembravano essersi allontanati dagli acquisti di alto valore prediligendo un basso profilo e un ritorno a un regime più austero.
Fortunatamente (per gli attori stranieri del settore) questi dati sono stati analizzati e presentati (più o meno volutamente) senza tenere in mente la dimensione globale del settore e le nuove abitudini di spesa dei consumatori asiatici, in particolare cinesi, che hanno cominciato a girare il mondo per affari e per piacere. Il termine travel retail, termine che in passato indicava semplicemente la vendita di prodotti effettuata presso i corner aeroportuali, non rispecchia più esattamente la realta dell’industria, o meglio, vi e’ fedele solo in parte. Quando parliamo di travel retail oggigiorno dobbiamo considerare tutte le vendite di prodotti di lusso effettuate a consumatori che non sono originari del mercato in cui viene conclusa la transazione. Esempio: la vendita di una borsa ad un cliente con passaporto cinese presso una boutique di Londra e’ da considerarsi travel retail.
La definizione e la quantificazione della portata del fenomeno travel retail è relativamente facile per gli attori protagonisti del settore, retailers e agenzie che processano le pratiche di recupero IVA in regime di duty free, ma spesso non sono condivise con i governi e i non addetti al settore. Tale mancanza di comunicazione, oltre a limitare e offuscare le prospettive di sinergie e azioni di collaborazione con i vari interlocutori pubblici o privati che dovrebbero favorire lo sviluppo di un ecosistema, falsa la realtà dei mercati europei e americani. La dipendenza dai consumatori asiatici, e cinesi in particolare, dell’industria del lusso va ben tenuta in considerazione per quanto riguarda le scelte commerciali sempre più integrate a livello globale. Gli assistenti alla vendita che parlano cinese sono solo la punta dell’iceberg nell’attuale stravolgimento nelle storiche logiche di mercato.
Fonti autorevoli dell’industria confermano le statistiche e le dinamiche ora in corso nell’industria del lusso. In una recente intervista rilasciata al Financial Times, Hans-Dietrich Lahrs, Ceo di Hugo Boss, ha dichiarato senza mezzi termini il segreto di pulcinella che era noto agli addetti al settore e a chiunque si trova a passeggiare per i viali delle capitali dello shopping Europee o Americane: 15-20% degli acquisti nelle grandi citta del mondo viene effettuato da acquirenti cinesi.
Erward Rambourg, analista del settore lusso presso la banca HSBC, ha affermato in maniera ancora piu diretta: “Si presume erroneamente lusso uguale Cina, ma la realta e’ lusso uguale Cinesi. Oggi le vendite in Cina costituiscono l’8-10% del totale delle vendite mondiali di prodotti di lusso, ma i consumatori cinesi acquistano circa il 35% dei prodotti di lusso a livello mondiale.” Per quanto tempo avrà ancora senso parlare di un mercato italiano o europeo se la maggior parte degli acquisti vengono effettuati da una clientela che ha un passaporto non italiano? Analisi CAPEX e trend di mercato non sono più scontati alla luce di tali considerazioni.