Cosa succede ai resi dell’e-commerce

Cosa succede ai resi dell’e-commerce? Costi/ perdite dirette e indirette per il business degli e-tailers, ripercussioni ambientali, sovraproduzione e dati.

Cosa succede ai resi dell’e-commerce? E’ una domanda che sicuramente qualcuno si sarà posto. La risposta più ovvia dovrebbe essere che vengono rimessi in vendita sul sito dal quale li abbiamo acquistati, non sempre però le cose più ovvie sono anche vere, in questo caso è proprio così. Una recente ricerca condotta negli Stati Uniti, dove il volume delle vendite online è stimato incidere per circa 8,5% del totale del commercio (dato riferito a tutte le categorie merceologiche –dato Census GOV U.S.), ci restituisce un quadro differente sulle dinamiche realmente in essere.

Un primo dato che fa riflettere è l’incidenza dei resi sul totale delle vendite, si tratta di una quota del 30% nel commercio online rispetto al 10% di restituzioni che riguardano gli acquisti effettuati nei negozi tradizionali. Nelle vendite online di abbigliamento e calzature la percentuale di reso è superiore al 35% .

Un altro dato interessante riguarda la marginalità realizzata dai retailer sulla quota di prodotti che viene rimessa in commercio dopo il reso. Il dato per i resi da e-commerce è sconvolgente: oltre il 50% della merce resa viene rivenduto ad un prezzo scontato determinando così una perdita per il venditore, perdita che può diventare totale quando la merce non può essere rivenduta.

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Lo sviluppo dell’ecommerce, specie nei settori di abbigliamento e calzature, si basa infatti anche sulla possibilità accordata al cliente di ordinare una pluralità di pezzi dello stesso articolo di taglie o colori diversi. Il vantaggio dello scaffale infinito e delle cose lunghe di catalogo. La fisicità che è la caratteristica della disponibilità del bene, evidente ed immediata nel negozio quando si tocca e prova il capo, viene ricreata dal cliente a casa sua. In questo modo si restituisce, a caro prezzo per il venditore, l’esperienza fisica dell’acquisto altrimenti impossibile online.

Esaminando categorie merceologiche diverse dall’abbigliamento, dove il problema delle taglie o del colore non esiste, la situazione dei resi non è molto diversa. Il commercio online per cercare di sottrarre clientela a quello tradizionale, non potendo contare sulla fisicità è obbligato a fare leva sulla facilità e comodità del reso, oltre che sulla sua gratuità (disciplinata da normative). Esiste ovviamente un rovescio della medaglia, a forza di agevolare il cliente si è venuta determinando una sorta di assuefazione ad acquistare articoli in esubero, sapendo in partenza che verranno in gran parte restituiti a costo zero per il cliente. Ad esempio la politica di concedere fino a 100 giorni per effettuare i resi messa in pratica da Zalando (vedi dettagli) oppure le ampie politiche di accettazioni resi di Amazon.

È ovvio che al di là della indubbia comodità per il pubblico, se viene osservata dalla parte del venditore (e dell’ambiente), questa dinamica dei resi incentivati e agevolati ha costi ed effetti devastanti per i retailer, effetti che si manifestano in diversi aspetti non solo economici.

Le costi diretti sostenute dal retailer per il reso di un prodotto che può’ essere rimesso in commercio sono tre.

1)II costo per la spedizione del reso, solitamente gratuito per il cliente, onere che ricade così interamente sul venditore. 2)L’insieme dei costi per la gestione fisica del reso allorché la merce è ritornata nel centro logistico: deve essere aperto il pacco, controllato lo stato dell’oggetto reso, verificato se può essere rivenduto o meno e come, se necessario poi viene ripristinato l’imballo. 3)Costo per riporre l’oggetto reso nella giusta posizione in magazzino, l’ultima operazione, che finalmente sancisce il ritorno in vendita.

Diverso è il caso delle perdite dirette di un reso di quegli articoli che non possono più essere venduti, qui la destinazione è la distruzione o, nel migliore dei casi, la vendita in blocco ad operatori specializzati, ovviamente ad un prezzo irrisorio.

Come abbiamo visto, il risultato economico del reso si quantifica sempre in una perdita economica per il venditore, totale in quest’ultimo caso e più o meno consistente.

Naturalmente vi sono delle eccezioni, parliamo in primis di quelle aziende o categorie merceologiche che hanno marginalità  molto elevate, condizioni che fanno si che il reso abbia un impatto economico non ingente e che può essere persino trascurabile. Ci riferiamo al settore dei prodotti di lusso, dove il prezzo pieno di vendita rispetto al costo di produzione e la marginalità tale da permettere di assorbire anche l’eventuale distruzione dei resi, ipotesi che abbiamo visto possibile nei casi estremi.

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Tornando agli impatti negativi che genera il sempre più vorticoso “giro dei resi”, bisogna soffermarsi sulle conseguenze indirette che sono altrettanto importanti quanto quelle economiche. Ci riferiamo in primo luogo all’impatto ambientale determinato dall’utilizzo della catena logistica che viene impiegata per gestire la merce di ritorno, impatto che va dall’utilizzo dei mezzi di trasporto all’energia variamente impiegata per le movimentazioni fisiche ed amministrative inerenti al reso, così come nei casi estremi all’impiego di risorse necessarie alla distruzione e smaltimento del rifiuto.

L’impronta ambientale che il nostro oggetto ha lasciato nell’ecosistema per essere prodotto e successivamente ricondizionato o distrutto e smaltito, ha poi una ulteriore implicazione di carattere etico, non essere stato usato per l’utilizzo per il quale è stato realizzato.

In altri termini, la sovrapproduzione che viene indotta dall’esasperazione del meccanismo dei resi, proprio dell’e-commerce, ha un impatto ambientale molto rilevante. Pensiamo qui allo spreco di materiali, risorse energetiche e manodopera usati per produrre oggetti che non avranno alcuna utilità. Si può tranquillamente dire che l’alto tasso di resi che caratterizza l’e-commerce, che abbiamo visto essere inevitabile per favorire lo sviluppo e la crescita del business, provoca un incremento dell’impatto ambientale determinato dalla produzione di merce che altrimenti non avrebbe bisogno di essere prodotta.

Naturalmente i retailer dell’online iniziano a rendersi conto della insostenibilità del modello di business basato sul reso facilitato, cercano così in qualche modo di correre ai ripari. Negli Stati Uniti, per il solo mese di dicembre 2019, si prevedono resi per circa 1mln di unita’ al giorno (vedi articolo LA Times). In sintesi, appare evidente che il fenomeno dei resi deve essere comunque in qualche modo arginato. In primis, ne va della sostenibilità per il pianeta ed, in secundis, della sopravvivenza di molti business. I primi che se ne rendono conto sulla loro pelle sono ormai la maggioranza degli etailers, la difficoltà rimane come poterlo fare senza effetti collaterali.

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