Nike lascia Amazon, la customer obsession e rischio contraffazione sono i motivi. Customer Obsession reversed: l’ossessione per il consumatore che contraddistingue Amazon si e’ ritorta contro l’e-tailer che si e’ dimostrato al di sotto delle ambizioni e incapace di mantenere gli accordi.
Una scelta strategica quella di Nike che annuncia la conclusione del test con Amazon e l’alt alle forniture wholesale ufficiali. Le ripercussioni di questo stop e del nuovo confronto Nike vs Amazon, perché di questo si tratterà in futuro, vanno interamente a discapito del consumatore oltre che delle due aziende.
Nel 2017, Heidi O’Neill, Presidente NikeBusiness Direct To Consumer (Ecommerce e negozi worldwide), aveva presentato la collaborazione come un rivoluzionario test che il brand voleva intraprendere con il gigante dell’ecommerce. Obiettivi della collaborazione: elevare l’esperienza per il consumatore Nike anche su Amazon e proteggere dalla contraffazione il brand. Qualche premessa della partnership evidentemente non è stata rispettata in quanto, dopo meno di due anni, Nike ha deciso unilateralmente di chiudere il test pilota.
Nike e’ uno dei grandi nomi tra i giganti del settore abbigliamento che aderiscono in maniera impattante al movimento che punta sul focus sul Direct To Consumer come chiave per salvare il retail e valorizzare la relazione con la clientela. Oggi il 30% del fatturato del brand deriva dalle vendite dirette, in store e online, quindi il corretto modo di gestire il business wholesale potrebbe essere rivisto. La qualità è preferita oltre ai volumi anche nel wholesale. La scelta dei partner diventa strategica nello sporswear/ casualwear come nel premium o nel lusso.
Oggi il consumatore può trovare sul marketplace Amazon prodotti Nike venduti direttamente dal brand al retailer (1P) oppure prodotti venduti da terze parti (3P) – leggi articolo. Nel primo caso si tratta di items su cui c’è piena garanzia di autenticità, con schede prodotto aggiornate e contenuti ufficiali sempre in linea con il DNA e i codici del brand. Nel secondo caso si tratta di listing prodotto non ottimali, non sempre corretti da Amazon per verificare autenticità delle informazioni e, soprattutto, non si può fare affidamento sulla provenienza del prodotto.
Per un marchio di apparel e accessori di dimensione mondiale, come Nike, il problema della contraffazione è strutturale e molto dannoso. La decisione del 2017 di affidarsi ad Amazon è stata fatta, soprattutto, per ridurre/ eliminare, il problema della contraffazione della merce sul retailer online. Su questo tema Amazon ha fallito o non si è prodigato adeguatamente.
Apparentemente Amazon moda ha tradito la sua stessa selling proposition: la customer obsession. Fornire una customer experience mediocre al consumatore nella categoria abbigliamento accessori porta i grandi player del settore a staccarsi. Sempre di più la filosofia strategica profetizzata da Jeff Bezos agli albori del business si è rivelata valida.
Forse Amazon non si aspettava di fallire nell’offrire un servizio in linea con gli standard minimi del fashion, tanto cari a Nike e altri brand ad alto valore aggiunto. Concetti come chiarezza sulla provenienza del prodotto, segmentazione per collezioni e stagioni dell’offerta e focus sulle collezioni ufficiali “in stagione” vengono costante a meno su Amazon. Problema similare a quello che Jack Ma e Alibaba hanno dovuto affrontare e stanno gestendo da anni (vedi articolo)
Amazon, per scelta, non e’ come Zalando, Footlocker, JDsports.com, Yoox, Net-a-Porter, MrPorter, MyTheresa, LuisaViaRoma, StockX o altri specialisti del settore. Per i brands di abbigliamento, scarpe e accessori fashion, Amazon resta una delle più grandi opportunità ma i rischi (per il momento) superano i potenziali benefici.
Morale: Amazon did not crack fashion (yet).
(Traduzione: Amazon non ha ancora “ decifrato” la vendita abbigliamento.)