L’economia degli influencers in crisi: tanto florida e vistosa quanto fragile. Questo business model di comunicazione si è scontrato in queste settimane con il suo nemico naturale: la normalità. Nato da meno di un decennio, questo modello di business, che ha conosciuto l’apice della sua popolarità grazie alla massificazione delle dinamiche di consumo tramite Instagram– il social network dell’immediatezza- non era pronto al Coronavirus e alle conseguenze socio-economiche di un lockdown. La normalità penalizza i business models basati sullo storytelling digitale perchè è molto difficile produrre contenuti interessanti.
Per far fronte alle nuove dinamiche di consumo e alla creazione dei contenuti durante il Covid-19, anche gli influencers hanno dovuto reinventare il loro calendario editoriale, rimodulando la strategia di creazione dei contenuti, scelta non facile e non alla portata di tutti. Da non sottovalutare inoltre gli impatti del lockdown su un linguaggio comunicativo digitale molto schematico come quello degli influencers: la net etiquette (le buone maniere digitali) impone di adattarsi a gestire nuovi tabù ed adottare le attenzioni extra che la situazione richiede, il tutto per non offendere la followers base su molteplici canali TikTok, Instagram, Facebook e Youtube.
Influencers come lifestyle leaders: modelli da invidiare e imitare per stili di vita da sogno.
Dai viaggi alle esperienze esclusive in ristoranti, locali o palestre, gli influencers digitali girano accompagnati da una compagnia di amici e conoscenti bellissimi, rigorosamente VIP, e con estrema naturalezza raccontano prodotti e servizi degli sponsor (vedi speciale Farfetch Communities influencer). Immagini e momenti sapientemente costruiti per vendere il sogno di una vita straordinaria, accessibile a chiunque sia disposto a mettere un like, diventare follower e potenziale cliente di qualche brand. Un dialogo di finta intimità sapientemente organizzato, il concetto di vicino ma irraggiungibile: questo era il mondo degli influencers fino a febbraio 2020.
Con la crisi dei consumi post Coronavirus, il fenomeno meglio noto come FOMO -Fear of Missing Out (trad. paura di perdersi qualcosa), la dinamica sociale e di consumo sapientemente cavalcata dagli influencers è da rivedere. Nessun Paese, azienda o organizzazione era strutturato per gestire una pandemia sanitaria su scala globale come quella del Covid-19: in qualche mese è rimasta bloccata in casa più della metà della popolazione globale e sono cambiate le dinamiche di consumo. Una delle prime conseguenze, da non trascurare, è la rivoluzione nelle scelte di marketing, che le aziende sono state chiamate a prendere in poco tempo, e le repentine riduzioni di budget che hanno colpito in maniera diretta il marketing digitale ed in primis i testimonials.
Ai tempi del Coronavirus, gli influencers di tutto il mondo stanno cercando di mostrare una versione reale e normale di loro stessi: in cucina, salotto, con un tappetino da yoga o con i figli. Non importa il come, ma quanto il contenuto creato può mantenere l’engagement con la follower base, che si trova anch’essa nella stessa circostanza e può immedesimarsi. Ma fino a che punto è possibile per gli influencers rimodulare il messaggio, cambiare i contenuti e rimanere rilevanti agli occhi dei followers?
Sotto il profilo economico, macro influencers e micro influencers (profili con meno di 100.000 followers) hanno in comune modelli di remunerazione basati su partnership commerciali e pubblicità, più o meno articolati e remunerativi a seconda del target e dell’importanza acquisita in categorie merceologiche o gruppi di persone.
Come è cambiata la narrazione per l’economia influencers con il Covid-19?
Nella parte apicale della piramide troviamo i macro influencers: personaggi che hanno un seguito di milioni di followers e muovono budget aziendali da decine di migliaia di euro per un post o una campagna. Per questi opinion leaders, la quarantena si svolge in mega ville o super appartamenti in centro città, quando non si tratta di yacht o isole private. In ambienti che ricordano una vacanza, gli opinion leaders sono circondati da inservienti e baby sitter, in outfit da casa degni di una sfilata e alternano negli scatti pranzi luculliani a torte della nonna, con l’immancabile logo dello sponsor di prodotti alimentari e l’indicazione #adv. Non stiamo parlando di livestreaming e-commerce (vedi articolo) ma di campagne pubblicitarie, più o meno soft, che puntano a generare vendite.
Nella parte bassa della piramide troviamo, o meglio non vediamo più da qualche settimana, i micro influencers: i grandi assenti dai feed Instagram. Senza grandi appartamenti, vite da ammirare, concerti o dirette Instagram con VIP a cui partecipare, questi testimonials minori durante il Coronavirus perdono la loro raison d’etre e di conseguenza la loro fonte di introiti pubblicitari. Questi personaggi scoprono improvvisamente di essere diventati attori marginali, privi di storie da raccontare ad una fan base che rapidamente li ha traditi.
La crisi della normalità da un lato rende ancora più ricchi i macro influencers e, senza clamore, irrilevanti i micro influencers.
I festival internazionali -come Coachella, Burning Man e SxSW- erano già pronti, così come gli eventi più cool del calendario estivo: tutti i programmi stravolti dalle cancellazioni. L’estate, solitamente la stagione più lucrativa grazie a vacanze ed eventi, è stata di fatto preclusa agli influencers globetrotter. Senza questa patina dorata, che ruota attorno alle esperienze fisiche di socializzazione, anche gli sponsor, come brands di abbigliamento e accessori alla moda, si dileguano: l’economia degli influencers scoppia come una bolla di sapone.
Paradossalmente per Ironia della sorte: si riduco i contenuti di qualità ma aumenta a dismisura il tempo passato online e, soprattutto, sui social network dalle persone bloccate in casa per il lockdown da Coronavirus (vedi dati CampaignLive). Complici la noia e il tanto tempo vissuto all’interno di luoghi chiusi, gli utenti sono diventati voraci consumatori di dirette social e contenuti di ogni genere.